Orizzonti gastronomici

L’intelligenza naturale del cuoco del futuro

Ci vuole coraggio a parlare di una professione, quella del cuoco, non avendola esercitata. Ne … L’intelligenza naturale del cuoco del futuro Continua »

Ci vuole coraggio a parlare di una professione, quella del cuoco, non avendola esercitata. Ne scrivo con il massimo rispetto per chi lavora in cucina e senza alcuna presunzione di avere in tasca la verità o di dettare delle regole.

Ne scrivo dal punto di vista di chi, oltre ad aver frequentato ristoranti di tutti i livelli, ha svolto per un’intera vita professionale il compito di valutare competenze, definire programmi formativi e percorsi di sviluppo professionale.

La prima premessa è che chiunque pensi di saper prevedere il futuro, sulla base della situazione attuale, millanta una capacità previsionale totalmente infondata.

L’esempio delle previsioni atmosferiche è perfetto: fino è tre giorni ci si può fidare, dopo è un terno al lotto.

Non tutti i fenomeni sono uguali: per esempio le previsioni demografiche hanno una affidabilità che si misura sul lungo periodo, molto meno quelle che si basano sui trend di sviluppo economico, culturale e sociale. Non lo sostengo io ma un approccio scientifico che ha dominato buona parte del secolo scorso, basato sul concetto di pensiero sistemico e sulla teoria della complessità.

Basta leggere le pagine de Il cigno nero di Nassim Nicholas Taleb, pubblicato per la prima volta nel 2007, per convincersi del fatto che chi crede di sapere come sarà l’economia o la società del futuro, avvalendosi di previsioni matematiche, diagrammi a campana e statistiche, è destinato a fallire.

Ciò non significa che non si deve cercare di capire come sarà il futuro. Bisogna imparare a  ‘ballare con la complessità’ usando un’espressione ormai famosa di Donella H. Meadows utilizzata per la prima volta nel 1972 nel suo rapporto “I limiti dello sviluppo”. La metafora più efficace è quella che vede le comunità come dei naviganti che sanno grosso modo dove devono andare ma che non hanno alcun riferimento preciso da seguire. Fanno tappa di isoletta in isoletta e di volta in volta aggiustano il tiro, sperando che la tempesta non li travolga, ma comunque spinti dal desiderio di scoprire posti nuovi e nuove ricchezze.

Questa lunga digressione per dare un senso alle riflessioni che seguono e che si propongono di tracciare alcune linee di tendenza piuttosto che soluzioni certe.

La cucina del futuro

Per parlare del cuoco del futuro è opportuno parlare prima di come ci si immagina la cucina del futuro

Non ci sarà una cucina soltanto. Ci sarà, presumo, una cucina sperimentale e poliglotta in grado di disegnare nuovi orizzonti e portare sulle tavole, combinandolo, il meglio delle esperienze gastronomiche planetarie, che consentirà di girare il mondo stando seduti a tavola. Ciò richiederà un cuoco d’avanguardia, dalla curiosità e dalla tecnica enciclopedica, protagonista dei propri piatti ed in grado di leggere i gusti e i desideri sotto traccia di clienti curiosi e di promuovere un loro modo di intendere la cucina e il cibo.

Ci sarà una cucina attenta a ricostruire il filo rosso che la lega alle proprie origini e al proprio territorio. Un recupero delle tradizioni e di un’identità che tuttavia avrà bisogno progressivamente di aggiustarsi: chi oggi è adolescente e tra dieci o quindici anni andrà in una trattoria, cosa cercherà nel piatto? Cercherà, forse, sapori identificabili che gli parlino di casa. Ma la cucina d famiglia, già oggi, risulta assai sbiadita e tendenzialmente sbrigativa, che sempre meno si affida all’orto e al cortile e sempre più al supermercato. Ecco che allora, in prospettiva, il cuoco di trattoria sarà il custode affidabile di un sapere tramandato dalla tradizione; sarà un onesto selezionatore di produttori che aiuteranno a mettere in tavola un pasto in cui poter riconoscere le nostre radici alimentari e la nostra terra.

Ci sarà una cucina veloce fuori casa, fatta per alleviare le incombenze domestiche e per ritrovarsi attorno ad un tavolo a mangiare cose plausibili, non impegnative e ad un costo sostenibile.  Sarà la cucina che occuperà lo spazio maggiore, in termini di fatturato, che risentirà più di altre della variabilità e della contaminazione dei gusti e dei linguaggi, e sarà caratterizzata dalla necessità di una straordinaria accuratezza nella standardizzazione dei processi, nella lettura dei comportamenti e nella ottimizzazione dei costi.

Questa classificazione rudimentale e certamente non esaustiva della cucina del futuro, che tralascia gli aspetti nutrizionali, salutistici, confessionali che la sostanzieranno, pone in evidenza comunque tre elementi che accomuna il fare cucina: capacità di leggere il mercato, conoscere il mestiere, tecniche e prodotti, saper innovare, saper far tornare i conti.

La rivoluzione informativa

La novità che nel prossimo futuro riguarderanno le competenze del cuoco (e del pasticcere) non si riferiranno alle tecnologie di trasformazione gastronomica (di cottura, refrigerazione, fermentazione), complesse ma relativamente stabili. La vera rivoluzione che sta investendo già ora quasi tutti i comparti professionali, compreso quello della cucina, è la rivoluzione digitale che con una certa sbrigatività si definisce intelligenza artificiale.

L’intelligenza artificiale (IA) mira a simulare processi di pensiero umano all’interno delle macchine. La più nota è ChatGPT prodotta dal laboratorio di ricerca Open AI. GPT sta per Generative, Pre-trained Transformer. Il termine ‘Transformer’ indica l’operazione di trasformazione che queste intelligenze artificiali applicano ai testo scritto per poterlo elaborare in modo efficiente. I termini ‘Generative’ e ‘Pre-trained’ indicano rispettivamente la capacità di generare del testo e il sistema di pre-addestramento che ha portato a questo modello di Intelligenza Artificiale.

Chat GPT non sa, cioè non ha conoscenza o esperienza, e tantomeno coscienza, di ciò che legge e scrive, bensì gestisce un dato testuale con formule interpretative e generative basate su algoritmi, avendo scomposto le informazioni in particelle elementari ed avendo creato delle relazioni tra di esse per sviluppar capacità di comprensione e generazione linguistica. Questo processo può essere applicato ad altri input come immagini e dati di geolocalizzazione.

La capacità di elaborazione dell’intelligenza artificiale è quella che sta alla base degli ‘assistenti virtuali’ (Siri, Alexa, Cortona, Google Assistant per esempio, che costituiscono l’interfaccia che consente di interagire con l’intelligenza artificiale in modo naturale e intuitivo.

L’intelligenza artificiale, così intesa (tralasciamo qualsiasi considerazione di utilizzo autoritario e manipolatorio che dipenderà esclusivamente dalla capacità di controllo sociale dei processi tecnologici) sarà un’opportunità per liberare risorse ora impiegate nella ricerca delle informazioni e nello svolgimento di operazioni amministrative  codificate e ripetitive che potranno essere impiegate nell’attività ideativa, sperimentale, e di controllo dei risultati.

Il cuoco del futuro

Alla luce di queste considerazioni, le professioni gastronomiche, come tutte quelle che hanno una fase realizzativa e concreta del servizio, saranno avvantaggiate dalla rivoluzione che si intravede all’orizzonte. In prospettiva, sarà più facile trovare/sostituire un tecnologo alimentare che disegna processi e procedure di controllo, che un cuoco che ogni giorno deve tener conto di mille variabili: disponibilità dei prodotti, variabilità dei clienti e delle loro attese di servizio, tempi stretti di preparazione, gestione della brigata, sensibilità creativa di adesione al contesto.

Il cuoco del futuro, il cuoco con la C maiuscola, dovrà avere le competenze del saper e del saper fare, dovrà possedere la capacità di comprendere i processi che governano la trasformazione gastronomica, padroneggiare la tecnologia di cucina ma anche essere in grado di reperire le informazioni e di utilizzare con senso critico le informazioni e che gli ‘assistenti virtuali’ gli metteranno a disposizione.

La formazione di conseguenza, dovrà essere ripensata perché dovrà insegnare a ricercare e utilizzare i contenuto resi disponibili da quell’immensa biblioteca resa accessibile dalla tecnologia digitale. Ma dovrà educare ad esercitare lo spirito critico, definire gerarchie di autorevolezza, che si perdono nell’eccesso di dati disponibili in rete e che sono privi di indicatori per definirne l’autorevolezza e l’affidabilità.

Allo stesso tempo dovrà educare e consentire l’espressione della propria sensibilità perché, come in tutte le professioni ‘artistiche’, ovvero ‘artigianali’, il talento individuale farà la differenza, come la fa tra un medico e un buon medico.

Questo processo di aggiornamento delle competenze del cuoco e la generale rivalutazione delle professioni artigianali ci auguriamo si rifletta in un innalzamento della reputazione sociale e, di conseguenza, in un aumento della capacità negoziale delle figure di cucina che potranno ottenere maggiori riconoscimenti economici e migliori possibilità di conciliare tempo di lavoro e di vita.

Ciò presumibilmente si tradurrà in un aumento dei costi del mangiare fuori casa, anche perché questo processo riguarderà non solo il cuoco ma l’intera brigata di cucina e di sala. Forse accentuerà transitoriamente la crisi del settore delle ristorazione, afflitto da un’endemica mancanza di visione manageriale, ma che dovrà dotarsi, esso stesso, di quelle forme di intelligenza gestionale di cui risulta mediamente piuttosto povero.

L’articolo è apparso su Vini & Cucina bresciana ora in edicola.